- L’ARCHITETTURA COME CULTURA DELL'EFFIMERO

“Quando non si conosce è opportuno, oltre che norma di legge, conservare … almeno per trasmettere alle generazioni future questo grande patrimonio culturale.”
Una frase che ha un certo spessore. Una frase rivolta ai nostri politici, ma soprattutto ai nostri cittadini, è assolutamente necessario che si rinnovi una pubblica morale. Bisogna combattere questa cultura perpetrata all’insegna degli interessi degli speculatori, non possono che nascere che guai e non basta a scongiurarli nemmeno una norma scritta, perché non ci sono tribunali, né aule giudiziarie sufficienti per l’enorme addensarsi di abusi e delle negazioni degli ordinamenti.
In definitiva serve conoscere l’arte del proprio paese, perché è l’arte che ha costruito le città, le città sono ambiente dell’esistenza, si sa che il rapporto positivo o negativo con l’ambiente decide della sanità fisica, psichica e morale degli individui come è risultato dalle classifiche nazionali pubblicate sui giornali nazionali e locali sulla qualità della vita, dove dove molte città del sud sono risultate agli ultimi posti.
Delle nostre città noi ne facciamo un pessimo uso: l’ambiente si inquina e si degrada, il patrimonio culturale si deteriora e si disperde, colpa dell’ignoranza del loro valore. Ma i cittadini che sono i titolari e i responsabili di quei fattori vitali prima ancora che culturali, debbono imparare a conoscerli e a difenderli, a far sentire la propria voce, a difendere l’arte, l’archeologia e quindi il proprio passato.
L’arte del passato non è un problema del passato ma del presente, difendere le proprie origini la memoria storica è come difendere se stessi da tutto ciò che non si conosce ma che aiuta a vivere. Essere moderni non significa rinunciare ad essere intelligenti e responsabili della cosa pubblica.
In definitiva cosa dobbiamo cercare di realizzare a vantaggio dello straordinario patrimonio presente nel nostro centro storico? Un controllo degli interventi, è rilevante in tutto questo il ruolo della Committenza Pubblica, innanzi tutto, ma anche di quella privata, e non meno lo è quello del progettista, sul quale anche va pertanto spesa qualche parola. Innanzi tutto ricordiamoci che esiste una Direttiva dell’Unione Europea, la 384/85, che definisce i requisiti minimi dei soggetti abilitati alla progettazione di qualunque trasformazione ambientale.
Se però noi guardiamo con sgomento alle migliaia di metri cubi costruiti nella nostra città dalla fine del conflitto mondiale, alle migliaia di ettari urbanizzati, delle nostre campagne dequalificate o delle squallide periferie urbane, dobbiamo essere consapevoli che ciò si è potuto realizzare certamente con regole e politiche territoriali inadeguate, ma dobbiamo anche riconoscere che una causa non rilevante del degrado e dell’assenza di qualità architettonica risiede nel ricorso sistematico, per oltre l’85% dell’edificato, a progettazioni fornite da professionalità prive dei requisiti minimi previsti dalla UE. Sappiamo, infatti, che dei molti edifici, complessi e piani regolatori, hanno la patente di ingegneri elettronici, quando non chimici, ed ancora delle intere periferie urbane fatte di modeste costruzioni, in base ad una legge avallante la competenza del geometra per progettare appunto modeste costruzioni con risultato che è un eufemismo definire solo modesto.
Ciò ha indubbiamente concorso a dequalificare il paesaggio, ma costituisce anche uno spreco di risorse intellettuali, perché invece l’uso appropriato e pertinente delle competenze del geometra e dei saperi dell’ingegneria sarebbe utilissimi alla qualità delle opere, purché coordinati progettualmente da chi ha almeno la competenza specifica prevista dalla disattesa Direttiva 384.
E’ importante, perseguire l’obiettivo di salvaguardare e recuperare i valori delle peculiarità del nostro paesaggio della nostra città. La qualità urbana influenza i comportamenti sociali e individuali, i luoghi di confronto e di incontro sono quasi scomparsi nella nostra città “moderna”, la stessa terminologia per definire gli edifici che costituiscono emergenze architettoniche, è mutata: il Municipio, il tribunale, il palazzo della provincia, non sono più chiamati monumenti, ma servizi e infrastrutture, quasi a volerli sottrarre ad un giudizio di qualità architettonica, per lasciarli alla sola valutazione di utilità urbanistica. L. B. Albeti sosteneva che la bellezza degli edifici ha un valore civico e costituisce perfino nei confronti dei barbari un deterrente al compimento di atti vandalici.
Deterrente che non ha funzionato per la scadente produzione di un architettura di massa che costituisce la periferia, e non solo, della nostra città in cui viviamo e vedere nei monumenti esistenti un vincolo fastidioso, non solo perché impedimento alla loro sostituzione, ma perché costituiscono un’inquietante presenza, che costringe al confronto con la qualità possibile, la serietà professionale, l’impegno civile verso la città e la collettività.
Ma oggi la cultura dell’effimero ha contaminato profondamente l’architettura. Gli edifici del passato volevano durare in eterno perché dovevano, secondo gli artefici, committenti, progettisti, costruttori, trasmettere testimonianza del loro essere stati.
Oggi il potere non vuole o non è interessato a questa rappresentazione; le moderne democrazie occidentali non si servono più di questo tipo di immagine, hanno altri, nuovi, diversi strumenti destinati ad un rapido consumo.
Molti libri di storia dell’arte hanno suddiviso in capitoli distinti la storia delle arti figurative: architettura scultura e pittura. L’architettura era considerata un’arte e nessuno ne dubitava. Oggi, a differenza della pittura e della scultura, non ci si aspetta più che lo sia. Che l’architettura sia un prodotto artistico, non solo non è richiesto, ma è perfino temuto, perché la costruzione della città dovrebbe in tal caso confrontarsi con un parametro che non è commensurabile economicamente, che potrebbe produrre devianze, non solo al mercato immobiliare, ma ai codici di comportamento regolati dalle norme edili. E’ necessario che l’architettura ritorni ad essere una risorsa per questa nostra città, ma è anche necessario che vada avanti, non deve seguire, non deve rincorrere non deve scendere a compromessi, ma deve anticipare, lo sviluppo.
Giuseppe Briguglio
Architetto
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