- LA PROFESSIONE DELL'ARCHITETTO OGGI

Il domandare oggi è importante perché aiuta a costruire una via che è quella del pensiero e tutte queste vie ci conducono a muoverci attraverso il linguaggio e le “definizioni” delle cose e sull’esatta natura del loro significato.

Mi viene chiesto: - Chi è l’architetto? Che cosa fa l’architetto? Ancora oggi il termine “architetto” non è conosciuto, non capito, confuso, disagio questo non riscontrato esclusivamente da me, ma anche da altri colleghi.
Oggi il termine “architetto” è da noi utilizzato semplicemente per indicare il professionista che elabora progetti per la costruzione o il restauro degli edifici.
Esso è di origine greca, ed è giunto a noi nella nostra lingua attraverso la mediazione del latino. Si tratta di una parola composta, derivante cioè dalla funzione di due altri sostantivi. Il primo è “archè”, termine di nobile tradizione filosofica indicante il “principio” o “l’origine” delle cose “origine della terra”, il secondo è (téktuu = téktòn) che indica l’artista, l’artefice, l’autore. L’architetto è colui che allestisce la trama, organizza costruzioni, affinché in esse sia reso “l’inizio”, la “nostra origine”, si configuri “l’archè”.

Ma tralasciando l’aspetto filosofico e entrando nella nostra realtà di oggi, bisogna stabilire il perseguimento della qualità negli interventi di trasformazione del territorio e del paesaggio, è rilevante in tutto questo il ruolo della Committenza Pubblica, innanzi tutto, ma anche di quella privata, e non meno lo è quello del progettista, sul quale anche va pertanto spesa qualche parola.
Innanzi tutto ricordiamoci che esiste una Direttiva dell’Unione Europea, la 384/85, che definisce i requisiti minimi dei soggetti abilitati alla progettazione di qualunque trasformazione ambientale.
Quali sono questi requisiti? Un corso di studi universitari quinquennale, una specifica preparazione con corsi biennali in storia dell’architettura come in composizione architettonica ed, infine, in urbanistica. In Italia questi requisiti culturali minimi attualmente appartengono solo alla formazione degli architetti.
Se però noi guardiamo con sgomento le migliaia di metri cubi costruiti nella nostra città dalla fine del conflitto mondiale, le migliaia di ettari urbanizzati, le nostre campagne dequalificate o le squallide periferie urbane, dobbiamo essere consapevoli che ciò si è potuto realizzare certamente con regole e politiche territoriali inadeguate, ma dobbiamo anche riconoscere che una causa non rilevante del degrado e dell’assenza di qualità architettonica risiede nel ricorso sistematico, per oltre l’85% dell’edificato, a progettazioni fornite da professionalità prive dei requisiti minimi previsti dalla UE. Sappiamo infatti che dei molti edifici complessi e dei piani regolatori che hanno la patente di ingegneri elettronici, quando non chimici, ed ancora delle intere periferie urbane fatte di modeste costruzioni, in base ad una legge avallante la competenza del geometra per progettare appunto modeste costruzioni con risultato che è un eufemismo definire solo modesto.
Ciò ha indubbiamente concorso a dequalificare il paesaggio, ma costituisce anche uno spreco di risorse intellettuali, perché invece l’uso appropriato e pertinente delle competenze del geometra e dei saperi dell’ingegneria sarebbe utilissimi alla qualità delle opere, purché coordinati progettualmente da chi ha almeno la competenza specifica prevista dalla disattesa Direttiva 384.

E’ importante, perseguire l’obiettivo di salvaguardare e recuperare i valori delle peculiarità del nostro paesaggio della nostra città. La qualità urbana influenza i comportamenti sociali e individuali, i luoghi di confronto e di incontro sono quasi scomparsi nella nostra città “moderna”, la stessa terminologia per definire gli edifici che costituiscono emergenze architettoniche, è mutata: il Municipio, il tribunale, il palazzo della provincia, non sono più chiamati monumenti, ma servizi e infrastrutture, quasi a volerli sottrarre ad un giudizio di qualità architettonica, per lasciarli alla sola valutazione di utilità urbanistica. L. B. Albeti sosteneva che la bellezza degli edifici ha un valore civico e costituisce perfino nei confronti dei barbari un deterrente al compimento di atti vandalici.
Deterrente che non ha funzionato per la scadente produzione di un architettura di massa che costituisce la periferia, e non solo, delle nostre città in cui viviamo e vedere nei monumenti esistenti un vincolo fastidioso, non solo perché impedimento alla loro sostituzione, ma perché costituiscono un’inquietante presenza, che costringe al confronto con la qualità possibile, la serietà professionale, l’impegno civile verso la città e la collettività.
Ma oggi la cultura dell’effimero ha contaminato profondamente l’architettura. Gli edifici del passato volevano durare in eterno perché dovevano, secondo gli artefici, committenti, progettisti, costruttori, trasmettere testimonianza del loro essere stati.
Oggi il potere non vuole o non è interessato a questa rappresentazione; le moderne democrazie occidentali non si servono più di questo tipo di immagine, hanno altri, nuovi, diversi strumenti destinati ad un rapido consumo.
Molti libri di storia dell’arte hanno suddiviso in capitoli distinti la storia delle arti figurative: architettura scultura e pittura. L’architettura era considerata un’arte e nessuno ne dubitava. Oggi, a differenza della pittura e della scultura, non ci si aspetta più che lo sia. Che l’architettura sia un prodotto artistico,non solo non è richiesto, ma è perfino temuto, perché la costruzione della città dovrebbe in tal caso confrontarsi con un parametro che non è commensurabile economicamente, che potrebbe produrre devianze, non solo al mercato immobiliare, ma ai codici di comportamento regolati dalle norme edili. E’ necessario che l’architettura ritorni ad essere una risorsa per questa nostra città, ma è anche necessario che vada avanti, non deve seguire, non deve rincorrere non deve scendere a compromessi, ma deve anticipare, lo sviluppo.
Giuseppe Briguglio
Architetto
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